mercoledì 6 febbraio 2008

Figli di cotanta madre

Avrà diciassette anni. Si siede con un'amica o più probabilmente una compagna di scuola nei sedili sullo stesso asse del mio. Siamo divisi da un angusto corridoio in questa angusta carrozza ferroviaria. Ha la pelle deliziosamente ambrata e discetta per circa un quarto d'ora di riflessanti per capelli, ricrescita e doppie punte (l'amica si limita a mezze frasi di approvazione quando non interrotta anche in queste). A treno ormai avviato con teste grondanti sonno la giovane ragazzina, al contrario ben desta, si inerpica per la difficile strada del commento politico inerente alle elezioni americane. Che sorpresa. Gli stati al voto sono cinquanta, l'amica obietta: "Ma non sono 52?", "No, 50 e il District of Columbia è incorporato nello stato di Washington quale stato dell'unione e infatti si chiama Washington D.C.". Basito chiudo il giornale e ascolto meglio. "I Repubblicani non vinceranno nemmeno morti e il bello è che sia che vinca Hillary per la quale faccio il tifo, sia che vinca Osama (storpia volutamente ridendo il nome di Barak Obama) assisteremo a un evento storico. La prima donna Presidente oppure il primo afro-americano Presidente... Eh altroché qui dove il più giovane ha novant'anni".

Il colore della pelle induce a ritenere possa essere stata adottata o sia figlia di stranieri residenti in Italia ma ciò non ha alcuna importanza: quei genitori andrebbero citati qual esempio di come sia possibile allevare figli che, intelligenti di loro, imparano velocemente a molto ben destreggiare il discorso politico verso cui, al contrario, assistiamo a manifestazioni di penosa ignoranza da parte di molti, ma molti, adulti. La nostra politica è anche figlia di quella ignoranza.

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