giovedì 11 settembre 2008

Quando nulla cambiò

Quando tuttò cambiò ma tutto rimase uguale era un mattino radioso. Uno di quei giorni che sembra il cielo, il sole, la luce, il frizzante del vento, siano davvero parte di un grande disegno. Tanto grande dal non venir esattamente compreso. L'umanità spesso considera ovvio il divenire come se ogni giorno non sia di per sé un modello di perfezione astronomico stupendamente bilanciato nello spazio. Ciò porta a far sì che la vita scivoli accanto agli uomini sino a quando questi non si accorgono che sta loro sfuggendo di mano.

Quando tuttò cambiò ma tutto rimase uguale ci dicemmo che mai memoria sarebbe venuta meno. Perenne e vivido e costante il dolore ma soprattutto il rispetto dovuto a coloro che non sono qui a vivere altre mattine come quella in cui compresero come la vita e il destino, uniti in un perverso gioco, stessero loro riservando una fine maledetta.

Quando tuttò cambiò ma tutto rimase uguale le promesse e l'intima consapevole certezza che sempre avremmo celebrato quel giorno s'infrangono oggi nel vedere come il New York Times non riservi che un articoletto di spalla a destra in basso nella prima pagina al tributo e al ricordo.

Quel giornale non è da biasimare, solo però, è bene riflettere su un "per sempre" promesso quando dovremmo sapere che mai è per sempre. Il tempo lenisce, sopisce, allontana il dolore per lasciare l'inevitabile spazio alla prepotenza della speranza.

Quando tuttò cambiò, cambiò perché rimanesse uguale. Lo rammentino gli uomini. E anche gli assassini.